Ricerca del bello. Ma cos'è il bello nella psicanalisi, in questo studio che scava nella mente umana incessantemente? Cosa è "attraente"? Ce lo spiega Stefano D'Angela.
“Da un bel corpo, ai bei corpi, da questi verso le anime, quindi verso ciò che è bello nelle maniere di vita, alle leggi, nelle conoscenze, fino alla sfera ormai ampia del bello”. È questa una delle affermazioni portanti del pansessualismo freudiano applicato all’estetica?
È questa la premessa del concetto psicoanalitico di sublimazione, che fa discendere ogni progresso della società civile, ogni conquista dell’intelletto umano, ogni avanzamento tecnologico, ogni prodotto letterario, artistico e filosofico da un completo processo di trasformazione delle pulsioni sessuali, prodotte nella regione dell’Inconscio, a partire dalla loro forma più grezza e belluina? Nossignori. Questo è il Platone del Simposio! Ma agli addetti ai lavori, ai professori e ai cultori, di certo non apparirà sbalorditivo trovare nel più famoso tra i Dialoghi del filosofo ateniese la traccia che Freud e i freudiani adotteranno e svilupperanno a sostegno della teoria erotica dell’atto estetico, anche al semplice livello di percezione. L’attrazione fisica è il precursore fisiologico del bello, è la sua forma embrionale, semplice e necessaria. La percezione della bellezza è figlia legittima dell’Eros, e può condurre all’esito dell’accoppiamento sessuale, ma può anche, e nella maggior parte dei casi deve, evolversi rispetto a questo e produrre altri esiti, costitutivi del comportamento e della società civili: l’amicizia, la fratellanza, la democrazia, e, come sottoprodotti di ciascuna Anima, il pensiero filosofico, l’opera d’arte, la spiritualità religiosa. Quel che è più strano a dirsi, è che quest’idea, di conio strettamente e solidamente platonico, non solo è una delle meno originali del genio viennese, ma è anche una delle meno accettate dell’opera freudiana, a tutt’oggi capace di “épater le bourgeois”, di scandalizzare il buon borghese, ignaro di quanto si sia formata nella culla del pensiero filosofico occidentale. In Freud la percezione e la fruizione della bellezza necessitano di una carica eccitatoria erotica, senza la quale non soltanto sarebbe impossibile cogliere la grandiosità di un affresco michelangiolesco, o di un’invenzione leonardiana, o del pensiero kantiano, ma lo sarebbe persino l’estasi sensoriale nella visione (e nel sentore) di un fiore, di un tramonto, del volto di un bambino.
La teoria platonico-freudiana dell’origine sessuale del piacere estetico, tuttavia, non prevede che la carica erotica si manifesti in una risposta eccitatoria meccanica (ad esempio, in un’erezione): ciò impedirebbe la trasposizione dell’energia pulsionale dalla sua dimensione fisiologica a quella emozionale-cognitiva, dove viene consumata come godimento desessualizzato. A dispetto di ciò, non è infrequente che nei racconti dei pazienti freudiani venga descritto il rimpasto dei due piani, e riportati episodi di eccitazione sessuale conclamata da artisti o pensatori di professione, inclini alla masturbazione in prosaica alternanza a elevatissimi prodotti del loro talento. Nel tentare di togliere dalla possibile confusione il bourgeois, però, Freud rimarca la presenza di una barriera psichica tra la fase crudamente fisiologica dell’esperienza estetica, coinvolgente i genitali e le zone erogene, e quella propriamente vissuta dal soggetto come esperienza attrattiva verso ciò che è bello. Nei “Tre saggi sulla teoria sessuale” pubblicati nel 1905, in una nota aggiunta nel 1914, egli scrive: “Mi sembra indubbio che il concetto del ‘bello’ trovi le sue radici nel terreno dell’eccitamento sessuale e significhi originariamente ciò che è sessualmente stimolante (l’attrattiva)”; infatti, aggiunge, “la parola tedesca Reiz significa, in senso tecnico, ‘stimolo’, e, nel linguaggio ordinario, ‘attrattiva’. È in connessione con ciò il fatto che in verità non potremmo mai trovare ‘belli’ i genitali, la cui vista provoca il più intenso eccitamento sessuale”. È il meccanismo della rimozione che, dunque, tiene al di sotto della soglia della coscienza, e addirittura ne inverte il significato originario, la fonte erotica della percezione del bello. Ma non è una rimozione imperfetta, come quella che usualmente dà adito ai sintomi di una nevrosi, bensì è la rimozione perfetta, la sublimazione, che permette all’occhio (e agli altri organi di senso) di dimenticare la prima fonte dell’eccitamento estetico, dando modo di trovare ‘bello’ ciò che nell’inconscio è sessualmente attrattivo e spinge verso il piacere sessuale, ma che nell’esperienza conscia perde la connotazione sessuale, restando fortemente attrattivo e producendo in ogni caso una forma di godimento.