*di Mariangela Taccogna
L'articolo che segue è il risultato di numerose chiacchierate con mio marito, figlio adottivo, riguardo la sua “condizione esistenziale”. Ho provato a raccogliere i suoi pensieri e a trasferirli in un flusso organico di riflessioni, che raccontano la sua esperienza. Un’esperienza che condivido ogni giorno ormai da quasi 17 anni e che mi ha permesso di maturare una prospettiva nuova sulla vita e sull’essere genitori. Ve la propongo.
Mi sono chiesto tante volte come sarebbe stata la mia vita se fossi rimasto nella mia famiglia d’origine. “Biologica” la chiamano.
Altrettante volte mi sono domandato se avrei potuto avere le occasioni che ho avuto se fossi capitato in un’altra famiglia. “Adottiva” la chiamano.
Sostanzialmente ho quattro genitori, ma solo da due di loro ho ricevuto attenzioni, amore, educazione. Degli altri due so poco e niente. Per scelta.
Non ho mai voluto sapere chi fossero: mi sembrava di mancare di rispetto ai miei genitori che per me hanno davvero fatto (e fanno) tanto. Quando i miei non ci saranno più cercherò, forse, di rispondere alla domanda delle domande: da dove vengo? E proverò a capire perché sono stato affidato alle mani severe di una suora in istituto a soli due anni.
Dei primi due anni di vita non ricordo nulla: buio. Qualche psicologo potrebbe dire che la sofferenza mi ha portato a cancellare quei ricordi. Non posso dirlo perché non posso saperlo.
Ricordo però quando sono venuti a prenderci (eravamo io e mio fratello e fortunatamente non siamo stati divisi): due visi estranei che per noi rappresentavano un nuovo mondo, un futuro tutto da inventare. Ma anche pasti caldi e carezze.
Avevo paura, paura che anche loro si stancassero di me. E invece no. Hanno resistito, nonostante tutti i sabotaggi che ho messo in atto.
Ne ho combinate davvero di cotte e di crude. Ma loro sono rimasti accanto a me. Con pazienza e amore. E pure sonore punizioni…!
Non si sono tirati indietro mai.
Sono nato nel desiderio di mia madre, prima ancora di venire al mondo. Tanto che, in qualche momento, ancora oggi, lei non riesce a mollarmi, a tagliare questo cordone ombelicale che ci lega.
Biologicamente non siamo nulla: il nostro non è un richiamo di sangue. Ma quello che sono, lo devo a loro.
Genitore è generare vita, permettere al flusso dell’anima di prendere corpo, curare le ferite e favorire i successi, vigilare e proteggere ma anche lasciare andare e aspettare.
Genitore non è chi mette al mondo un figlio, ma chi se ne (pre)occupa, chi se ne prende cura.
Tutto questo non è scritto da nessuna parte, non fa parte del “patentino” di genitori. Loro sono cresciuti con me ed io, oggi, posso dire di crescere insieme ai miei figli.
Come tutti i genitori, anche i miei hanno fatto degli errori con me e mio fratello. Ma oggi che sono padre, comprendo le loro difficoltà e li guardo con occhi teneri. E vedo in loro il desiderio originario. Quello che genera, quello capace di dare vita.