Tra social e stati di whatsapp se ne vedono di citazioni di fuffologia sull’amicizia. Ma la filosofia è diversa, indica una direzione e apre riflessioni (che, appunto, ci riflettono), non qualche frase sparata lì in cui pensiamo di ritrovarci.
Gli antichi avevano un concetto dell’amicizia molto più esteso del nostro, come uno dei filosofi per eccellenza delinea, inchiodandone per sempre il senso, i nessi e le prospettive: Aristotele.
Premesso che i beni non si possono né usare adeguatamente né goderne davvero senza gli amici, Aristotele immediatamente sposta l’amore altrove: quest’ultimo è “affezione” (pathos) cioè una “modificazione” subìta, mentre l’amicizia è un “abito” paragonabile alla virtù: è una disposizione attiva e impegnativa della persona, è partecipazione solidale a valori ed atteggiamenti, è comunità, è un legame scelto tra persone che condividono affetti positivi.
Attenzione: non è benevolenza (che può riversarsi anche su ignoti) ma è una grandiosa forma di “riamare”, è l’individuazione di una persona che decidi si trasformare in un fratello o una sorella scelti, non dalla genetica o dal caso, ma dalla tua volontà, priva di implicazioni legate al desiderio o alla concordia. Perché gli amici (quelli veri) non danno sempre ragione in automatico, non hanno opinioni identiche ma concordano sull’armonia degli atteggiamenti.
L’amicizia è più selettiva dell’amore, è più indipendente, estesa, svincolata dal desiderio: è la libertà più autentica (chiaramente se non sporcata da interessi), si impatta e nutre dell’alterità che è, del resto, la caratteristica altrui che più ci migliora.
Ma c’è una cosa forse che l’amicizia condivide con l’amore e qui corre in aiuto la saggezza popolare giapponese: “L’amicizia e l’amore non si chiedono come l’acqua, ma si offrono come il tè”.
Tiziana Anna Piscitelli